La vita di
Giovanni Sartori
Un uomo “larger than life”
1924
Sono nato a Firenze nel 1924. Perciò ho ricordi vividi del fascismo, della guerra in Abissinia, della guerra civile spagnola (nella quale intervennero anche i soldati italiani) e, ovviamente, della Seconda guerra mondiale. È quasi inutile dire che il mio interesse di tutta una vita per la democrazia emerge da quei «neri» ricordi del fascismo e del nazismo.
1925-1945
Gli anni della Guerra
La guerra dell’Italia, al fianco di Hitler, finì con una resa l’8 settembre 1943. All’inizio di quell’anno avrei dovuto essere reclutato. Ma l’amministrazione dell’esercito italiano era pur sempre italiana e, quindi, in puntuale ritardo. La mia chiamata alle armi avvenne solo nell’ottobre del 1943, quando i fascisti avevano dato vita alla Repubblica di Salò. Come gran parte dei miei coetanei, cercai di salvarmi nascondendomi. La pena per i disertori era di essere fucilati, e anche chi nascondeva un disertore rischiava la vita. Così, ho passato dieci mesi letteralmente «sepolto» in una piccola stanza finché Firenze non venne liberata dall’occupazione tedesca nell’agosto del 1944.
1925-1945
Gli anni della Guerra
La guerra dell’Italia, al fianco di Hitler, finì con una resa l’8 settembre 1943. All’inizio di quell’anno avrei dovuto essere reclutato. Ma l’amministrazione dell’esercito italiano era pur sempre italiana e, quindi, in puntuale ritardo. La mia chiamata alle armi avvenne solo nell’ottobre del 1943, quando i fascisti avevano dato vita alla Repubblica di Salò. Come gran parte dei miei coetanei, cercai di salvarmi nascondendomi. La pena per i disertori era di essere fucilati, e anche chi nascondeva un disertore rischiava la vita. Così, ho passato dieci mesi letteralmente «sepolto» in una piccola stanza finché Firenze non venne liberata dall’occupazione tedesca nell’agosto del 1944.
1946-1949
Gli anni dell’Università alla Cesare Alfieri
Conseguii la laurea in Scienze politiche e sociali all’Università di Firenze nel novembre del 1946, e per i successivi quattro anni non ebbi nulla di meglio da fare che vivacchiare. Il paese era in una situazione di assoluto caos e l’Università vedeva molti dei suoi «baroni» (cioè influenti professori ordinari) epurati, sospesi o sotto inchiesta. Poiché ero considerato un enfant prodige (si ricordi che, almeno in teoria, riuscivo a capire Hegel), fui subito nominato assistente alla cattedra di Teoria generale dello Stato – l’equivalente della tedesca Staatslehre – e, in realtà, la mia assistenza finì per essere un insegnamento vero e proprio in sostituzione del mio professore. Il suo nome era Pompeo Biondi.
1949-1950
Una prima borsa di studio mi portò a New York nel 1949-1950, dove facevo la spola tra la Columbia e la New School for Social Research. Come politologo ero sostanzialmente un autodidatta (senza maestri) e per questa ragione mi fu particolarmente utile il contesto internazionale (quello offerto dall’International Political Science Association, Ipsa) e l’ingresso nel cruciale Committee of Political Sociology dell’Ipsa, diventando amico di Marty Lipset, Juan Linz, Stein Rokkan, Mattei Dogan, Hans Daalder, Shmuel N. Eisenstadt. Se non mi fossi recato negli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale sarei stato uno studioso completamente diverso. Tornai numerose volte negli Stati Uniti durante gli anni ’60, prima come visiting professor of Government a Harvard (1964-1965) e poi come visiting professor of Political science a Yale per un semestre all’anno tra il 1966 e il 1969.
1949-1950
Una prima borsa di studio mi portò a New York nel 1949-1950, dove facevo la spola tra la Columbia e la New School for Social Research. Come politologo ero sostanzialmente un autodidatta (senza maestri) e per questa ragione mi fu particolarmente utile il contesto internazionale (quello offerto dall’International Political Science Association, Ipsa) e l’ingresso nel cruciale Committee of Political Sociology dell’Ipsa, diventando amico di Marty Lipset, Juan Linz, Stein Rokkan, Mattei Dogan, Hans Daalder, Shmuel N. Eisenstadt. Se non mi fossi recato negli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale sarei stato uno studioso completamente diverso. Tornai numerose volte negli Stati Uniti durante gli anni ’60, prima come visiting professor of Government a Harvard (1964-1965) e poi come visiting professor of Political science a Yale per un semestre all’anno tra il 1966 e il 1969.
1951-1956
Ma come è capitato che io trovassi – o che venisse trovata per me – la mia vocazione? Eravamo nel 1950. Ad un consiglio di facoltà, il preside, Giuseppe Maranini, disse ai suoi ignari colleghi che aveva un giovane e promettente portento da proporre: Giovanni Spadolini, che all’epoca aveva 25 anni (era di un anno più giovane di me) e che poi divenne direttore del «Corriere della Sera», presidente del Consiglio, presidente del Senato e mancò solo per un soffio la presidenza della Repubblica. Come si vede, Maranini aveva davvero fiutato un vincente. Ma Pompeo, il mio «boss», non poteva perdere la faccia perché non aveva nessun candidato da proporre. Così, su due piedi, decise di lanciare me come il suo «contro-genio», e la prima cattedra vacante che gli passò per la testa fu quella di Storia della filosofia moderna. Il patto venne subito stretto – sia Spadolini sia Sartori – e così venni nominato di punto in bianco «professore incaricato». Mi ritrovai quindi a insegnare per 6 anni (dal 1950 al 1956) Storia della Filosofia.
1957-1963
Pioniere della Scienza politica in Italia
Vi ricordo che la filosofia fu, per me, un «incidente» di guerra. Io ero interessato alla logica. Ma la logica non veniva insegnata nelle università italiane ed era anatema sia per la filosofia idealistica sia per la dialettica marxista (le scuole di pensiero allora dominanti). A partire dal 1956 riuscii a far inserire la Scienza politica nello statuto degli insegnamenti della Facoltà di Scienze politiche di Firenze. Dopodiché mi trasferii, sempre come professore incaricato, su una disciplina del tutto nuova e da molti guardata con sospetto. Siccome ero solo, e la disciplina era conosciuta da pochi, prevedibilmente sarei divenuto professore ordinario a fine secolo: una data troppo lontana per me. Ma a volte si può vincere senza aspettarselo. Quel che a me davvero interessava era di studiare ciò che mi piaceva e di essere il pioniere di una nuova disciplina.
1957-1963
Pioniere della Scienza politica in Italia
Vi ricordo che la filosofia fu, per me, un «incidente» di guerra. Io ero interessato alla logica. Ma la logica non veniva insegnata nelle università italiane ed era anatema sia per la filosofia idealistica sia per la dialettica marxista (le scuole di pensiero allora dominanti). A partire dal 1956 riuscii a far inserire la Scienza politica nello statuto degli insegnamenti della Facoltà di Scienze politiche di Firenze. Dopodiché mi trasferii, sempre come professore incaricato, su una disciplina del tutto nuova e da molti guardata con sospetto. Siccome ero solo, e la disciplina era conosciuta da pochi, prevedibilmente sarei divenuto professore ordinario a fine secolo: una data troppo lontana per me. Ma a volte si può vincere senza aspettarselo. Quel che a me davvero interessava era di studiare ciò che mi piaceva e di essere il pioniere di una nuova disciplina.
1964-1972
La mia idea di Scienza politica
Dal 1963 divenni il primo e unico professore ordinario di Scienza politica in Italia. Ovviamente, dovetti usare una entrata laterale, vincendo un concorso in Sociologia. Ma una volta «cattedrato», non mi fu difficile tornare alla scienza politica. Contro ogni previsione, ci riuscii. Il compito successivo diventava promuovere e definire la disciplina. Perché scienza politica? E come concepivo la disciplina e come arrivai alla politica comparata? In verità, io sono solo un comparativista a tempo parziale. Il mio lavoro può essere diviso in tre parti: a) teoria politica pura; b) studi metodologici dove la metodologia è intesa come il metodo del logos, del ragionare; e c) la politica comparata vera e propria.
1973-1979
Via dall’Italia, tra Stanford e la Columbia University
A cavallo tra il 1971 e il 1972, sfiancato da tre anni di battaglie nell’università (anche abbastanza aspre nel caso italiano), me ne andai a Stanford, dove trascorsi un anno delizioso e fruttuoso «sulla collina» come fellow del Center for Advanced Studies in the Behavioral Sciences. Dopodiché, decisi quasi all’istante di lasciare l’Italia. Stanford mi offrì la cattedra che fino a quel momento era stata ricoperta da Gabriel Almond, il quale da lì a poco sarebbe andato in pensione. Quindi sarei rimasto ad insegnare in California. Stanford mi garantiva tutta la distanza dall’Italia di cui avevo bisogno. Dopo tre anni, nel 1979, lasciai Stanford e divenni Albert Schweitzer professor in the Humanities alla Columbia University, dove, dal 1994, sono stato professore emerito.
1973-1979
Via dall’Italia, tra Stanford e la Columbia University
A cavallo tra il 1971 e il 1972, sfiancato da tre anni di battaglie nell’università (anche abbastanza aspre nel caso italiano), me ne andai a Stanford, dove trascorsi un anno delizioso e fruttuoso «sulla collina» come fellow del Center for Advanced Studies in the Behavioral Sciences. Dopodiché, decisi quasi all’istante di lasciare l’Italia. Stanford mi offrì la cattedra che fino a quel momento era stata ricoperta da Gabriel Almond, il quale da lì a poco sarebbe andato in pensione. Quindi sarei rimasto ad insegnare in California. Stanford mi garantiva tutta la distanza dall’Italia di cui avevo bisogno. Dopo tre anni, nel 1979, lasciai Stanford e divenni Albert Schweitzer professor in the Humanities alla Columbia University, dove, dal 1994, sono stato professore emerito.
1980-1994
L’influenza della Scienza politica americana
Questo rapido resoconto mostra quanto io sia stato esposto alla Scienza politica americana. A Harvard incontrai e conobbi da vicino Carl Friedrich, Talcott Parsons, Sam Beer, Sam Huntington, Henry Kissinger; a Yale, Robert Dahl, Harold Lasswell, Karl Deutsch, Charles Lindblom, David Apter, Joe LaPalombara; a Stanford, Gabriel Almond, Marty Lipset, Robert Ward; alla Columbia, Robert Merton, Zbigniew Brzezinski, Severyn Bialer e tanti altri. C’è sempre da guadagnare dalla compagnia di menti eccellenti. Ma la lettura è ancora più importante. Il lavoro che, forse, mi ha influenzato più degli altri è stato A Preface to Democratic Theory di Dahl (del 1956). Quando lo lessi, rimasi abbagliato dal suo metodo e dalla sua sistematica analisi delle «condizioni», un esercizio che Dahl ripeté all’inizio degli anni ’60, sempre sotto il mio sguardo ammirato, al Bellagio Rockefeller Center per il volume Political Oppositions in Western Democracies (1966).
1995-2017
L’intellettuale pubblico
A partire del 1994, ho vissuto prevalentemente tra New York e Roma. Terminato l’impegno accademico, mi sono dedicato soprattutto al mio ruolo di intellettuale pubblico, mettendo a disposizione le mie conoscenze e competenze. È in questo periodo infatti che ho intensificato la mia attività di editorialista per il Corriere della Sera, occupandomi sia di «vecchi problemi» (come le riforme istituzionali) che di nuove pressanti questioni (a partire dal cambiamento climatico). Per me è stata anche la stagione dei premi e dei riconoscimenti internazionali, ricevendo numerose Lauree Honoris Causa ed essendo insignito, nel 2005, del premio «Principe de Asturias». Nel frattempo, non ho mai interrotto la mia attività saggistica, dedicandomi ad alcuni dei temi più urgenti del nostro tempo: l’impatto dei nuovi media sull’opinione pubblica (Homo videns), le conseguenze delle migrazioni sulla società contemporanea (Pluralismo, multiculturalismo e estranei), gli effetti del cambiamento climatico e della sovrappopolazione (La Terra esplode) e infine i rischi per il futuro della democrazia (La corsa verso il nulla).
Giovanni Sartori muore a Roma il 3 Aprile 2017 e le sue ceneri riposano nella cappella di famiglia presso il Cimitero di San Miniato al Monte, Firenze.
1995-2017
L’intellettuale pubblico
A partire del 1994, ho vissuto prevalentemente tra New York e Roma. Terminato l’impegno accademico, mi sono dedicato soprattutto al mio ruolo di intellettuale pubblico, mettendo a disposizione le mie conoscenze e competenze. È in questo periodo infatti che ho intensificato la mia attività di editorialista per il Corriere della Sera, occupandomi sia di «vecchi problemi» (come le riforme istituzionali) che di nuove pressanti questioni (a partire dal cambiamento climatico). Per me è stata anche la stagione dei premi e dei riconoscimenti internazionali, ricevendo numerose Lauree Honoris Causa ed essendo insignito, nel 2005, del premio «Principe de Asturias». Nel frattempo, non ho mai interrotto la mia attività saggistica, dedicandomi ad alcuni dei temi più urgenti del nostro tempo: l’impatto dei nuovi media sull’opinione pubblica (Homo videns), le conseguenze delle migrazioni sulla società contemporanea (Pluralismo, multiculturalismo e estranei), gli effetti del cambiamento climatico e della sovrappopolazione (La Terra esplode) e infine i rischi per il futuro della democrazia (La corsa verso il nulla).
Giovanni Sartori muore a Roma il 3 Aprile 2017 e le sue ceneri riposano nella cappella di famiglia presso il Cimitero di San Miniato al Monte, Firenze.